La cultura di sinistra deve avere una strana malattia, una sindrome che rende gli uomini cocciuti e ripetitivi.
Perdono le elezioni? Fascisti.
Un saggio di Gianpaolo Pansa sulla Resistenza? Tradimento.
Una riflessione sull’articolo 18? Reazionari.
Un Ferrara sull’aborto? Maschilista.
È un giochino così semplice che ormai mette tristezza. Non c’è nulla da fare. È un riflesso condizionato, un abito mentale che resiste a tutte le stagioni. Puoi cambiare nome ai partiti, cercare nuove coalizioni, rinnegare falce e martello, aprire discussioni sull’occupazione sovietica dell’Ungheria, ma non cambieranno mai. E con loro la loro stampa.
Alemanno a Roma dice: la festa del cinema sia un po’ più italiana. E il Times scrive: il sindaco ex fascista mette sulla lista nera le star hollywoodiane come Leonardo Di Caprio e Nicole Kidman.
La cronaca del giorno parla di un massacro, vigliacco e bastardo di un ragazzo a Verona, e il tutto diventa lo spunto politico per raccontare l’Italia che verrà.
Veltroni parla di un clima «culturale e politico nel quale si vanno affermando principi di odio e intolleranza verso i più deboli».
L’Unità, domenica, lancia l’allarme sul profondo Nord. E titola: Verona, nessuno vede i picchiatori «italiani».
L’Unità accusa Verona di omertà. "Il silenzio ideologico e fiancheggiatore che copre gli assassini. Nessuno svela. Chi sa parli." Poi nell'articolo scrive: «La provenienza dei cinque aggressori è certa, perché parlavano il dialetto locale. L’età è al massimo 25 anni, due di loro indossavano jeans e un giubbotto bomber, uno aveva un cappellino in testa». Insomma, manca solo la foto. È il massimo che si può chiedere ai testimoni alle due di notte.
Ma l'Unità parla di una "Verona leghista, quindi rozza, razzista, con le bande neonazi in bomber". Verona è perfetta per lanciare la campagna di primavera contro il Cavaliere oscuro e le sue orde barbariche.
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