In un Paese nel quale nessun cancelliere o impiegato di tribunale, nessun carabiniere o poliziotto o finanziere, nessun avvocato, nessun magistrato di ogni ordine o grado è mai stato nemmeno indagato per il reato di violazione del segreto istruttorio (previsto dal codice); in un Paese nel quale però le redazioni e le televisioni sono da anni inondate di materiale (intercettazioni comprese) che riguarda indagati. In questo Paese ben venga dunque il giro di vite del governo su questo spinoso argomento e diffuso malcostume. È scelta di civiltà giuridica.
Dice bene il ministro Alfano quando evoca il rispetto della privacy e cita la Costituzione inapplicata per evidenziare i buoni motivi che spingono il governo a promuovere nuove norme in materia di intercettazioni telefoniche. L'Italia è infatti una nazione dalla modesta capacità di rispettare i diritti dell'indagato, che è tanto più maltrattato e vilipeso quanto più è probabile la sua (futura) assoluzione.
In ogni paese civile è corretto intercettare quando c'è alla base di un'ipotesi di reato. In Italia invece si ascoltano tutti (come se tutti fossero indagati) e poi si evince se c'è il reato.
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