Calaminta mi ha spinto a rileggere l'XXI canto dell’Inferno dantesco, la quinta bolgia in cui periscono i barattieri, “truffatori vissuti di inganni e raggiri, approfittato della posizione politica e delle cariche pubbliche, privi di ogni morale, tesi al proprio tornaconto dimentichi del bene collettivo: sono attuffati nella pece bollente, mentre i diavoli che li sorvegliano dalle rocce impediscono loro di uscirne, pronti ad afferrarli coi loro uncini”.
Mentre Dante guarda nella bolgia, Virgilio, tirandolo a sè, gli mostra un diavolo nero che sta venendo di corsa su per il ponte, portando sulle spalle un peccatore. Giunto sulla sommità dello scoglio, il diavolo nero getta giù il dannato ed invita i diavoli che stanno sotto il ponte a cacciarlo dentro. Il dannato, attuffato nella pece, torna su imbrattato, e i diavoli lo afferrano e straziano coi loro uncini, unendo parole di scherno.
Se Dante avesse vissuto i tempi nostri ci avrebbe certamente messo tutti i berlusconiani, colpevoli a prescindere, ma avrebbe dovuto dedicare molto più di un canto ai barattieri e probabilmente avrebbe dovuto anche attuare opere di ampliamento della quinta bolgia. Lui non poteva prevedere che c'era da fare spazio a tutta una schiera di persone che si autodefinivano moralmente superiori e che adesso affogano nella questione morale, nè poteva sapere che sarebbe esistita una scuola mastelliana che avrebbe fatto proseliti persino nell'Italia dei (dis)valori.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento