Quando nacque, il Pd suscitò molte speranze fra coloro che auspicavano un rinnovamento della cultura politica della sinistra.
Nonostante la serietà degli sforzi dell'allora segretario Walter Veltroni, le speranze andarono deluse e, anzichè dotarsi di identità e capacità progettuale, a poco a poco, vennero fuori le magagne tese per lo più ad assicurare la sopravvivenza di spezzoni di vecchia classe dirigente.
Scrivere con il senno del poi è facile, ma io credo che forse il Pd cominciò a morire quando fallirono le trattative tra Veltroni e Berlusconi per una riforma del sistema elettorale a vantaggio dei grandi partiti.
Se quelle trattative fossero andate in porto, il Pd sarebbe riuscito a mettere in sicurezza anche se stesso in quanto avrebbe poi monopolizzato l'opposizione intorno a sè.
Probabilmente, avrebbe ugualmente perso le elezioni del 2008 ma sarebbe stato in gara per giocarsi, con qualche chance di successo, la prova elettorale successiva.
Non andò così, e fecero fuochi e fiamme per far fuori Veltroni (l'unico che aveva in mente un percorso politico). Ora con Bersani c'è l'incapacità di elaborare e imporre una propria visione delle cose ed il Pd è divenuto un partito di scorta, né carne né pesce, in balia delle pressioni esterne: succube della rincorsa dei centristi di Casini, e oggi anche di Fini e dal radicalismo di Vendola e Di Pietro. Tutti gli stanno succhiando elettori.
Con uno sfrantummato Pdl e un moribondo PD, addio grandi partiti su cui far confluire alleanze di coalizione.
Addio bipolarismo, si torna alla prima repubblica.
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