Ciò a cui stiamo assistendo sulla scena pubblica italiana è la semplice riedizione di quella “caccia al Cinghiale” avvenuta all’inizio degli anni ’90. Con la differenza che allora la selvaggina da abbattere era costituita dal segretario del Psi Bettino Craxi ed ora il cinghiale da cucinare in salmì è il leader del Pdl Silvio Berlusconi.
Quest’ultimo, nei propositi di chi lo rincorre, può al massimo preparare in anticipo il luogo dell’esilio dove ritirarsi. Non sarà Hammamet, potrà essere Antigua o Bahamas!
Di sicuro, sempre nei progetti dei suoi nemici, non potrà essere Palazzo Grazioli, Arcore o Villa Certosa, da dove preparare eventuali rivincite elettorali.
La sua sorte è segnata: uscire da Palazzo Chigi con le mani alzate accettando la resa incondizionata, accettare a capo chino la sentenza negativa della Corte destinata a cancellare anche la sola speranza di una futura riconquista dello scudo giudiziario, incassare la inevitabile condanna già scritta dei magistrati milanesi nel processo Mills, venire successivamente infilzato da una serie di nuove indagini, rivelazioni, gossip e manciate di fango varie preparate dalle procure politicizzate e diffuse dai media dei poteri forti ostili e guadagnare in gran fretta l’esilio prima dell’inevitabile arrivo dei carabinieri.
Lo schema, dunque, è assolutamente simile a quello tanto felicemente concretizzato nel passato.
Ed i cacciatori sembrano essere in gran parte gli stessi.
C’è una sola diffrerenza, formale, rappresentata dal fatto che mentre all’inizio degli anni ’90 la caccia avveniva nelle Procure e nelle piazze adesso si consuma nelle sedi istituzionali e si concretizza nello studio di Montecitorio del Presidente della Camera dove la trama dell’operazione viene messa a punto insieme con Casini, Rutelli e D'Alema, in barba ad ogni banale considerazione sulla opportunità di simile comportamento paragolpista sia la terza carica dello stato.
Ma che fa? tanto Morfeo finge di dormire.
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