Nel 1970, solo trentotto anni fa esatti, circa venti milioni di americani parteciparono al primo Earth Day. La Quinta Strada di New York fu chiusa al traffico per permettere a centomila persone di riunirsi e celebrare l’evento. Più di duemila università interruppero le loro proteste contro la guerra nel Vietnam per manifestare il loro dissenso alla distruzione delle foreste, la crescita della popolazione, l’inquinamento atmosferico. La preoccupazione era che il fumo delle ciminiere, gli scarichi degli aerei, le polveri e il vapore avrebbero coperto la Terra di una coltre tanto spessa da impedire ai raggi del sole di riscaldare a sufficienza il pianeta. A detta di autorevoli scienziati, in trent’anni la temperatura media sarebbe crollata di cinque o anche di dieci gradi, catapultando l’umanità in una nuova era glaciale.
Questo raffreddamento globale, com’è noto, non si è verificato: anzi, la temperatura pare sia aumentata di un quarto di grado negli ultimi trenta anni e dovrebbe continuare a salire nei prossimi decenni.
Se la prima edizione dell’Earth Day fu dunque dedicata al raffreddamento globale (global cooling), da qualche anno protagonista dell’evento è il riscaldamento globale (global warming), il suo esatto opposto.
Quindi, premesso che la qualità dell’ambiente in tutti i suoi aspetti è una esigenza avvertita in modo sempre più urgente e deve divenire una priorità politica per ogni governo, l'impressione che se ne ricava è che la questione ambientale sia dominata da un approccio più emotivo che scientifico, e viene monopolizzata da minoranze rumorose che, in base ad analisi semplicistiche, hanno propugnato soluzioni irrealistiche e hanno trasformato la questione ambientale in una critica pregiudiziale all’industria, alla tecnologia, al mercato.
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