Nel giorno più brutto per Rutelli, a dargli manforte nel momento del bisogno, ci sono tutti i fedelissimi (Gentiloni, Giachetti, Anzaldi, Lanzillotta, Zanda, Lusetti, Realacci, Bobba e Binetti, il tesoriere Lusi, e molti ex assessori della sua giunta) e molti girano per i corridoi con le lacrime agli occhi.
Ma non si vede un big dei Ds, (nemmeno uno) né degli ex Ppi che fanno capo a Marini, Fioroni, Franceschini. «Basta vedere chi c’è e chi non c’è», fa notare uno dello staff, per capire che aria tira.
Rutelli non lo dice in chiaro, ma in questi giorni con diversi interlocutori non ha nascosto che a pesare sulla sua campagna elettorale è stato l’aver ereditato lo scontento dei romani per quella che i suoi uomini definiscono «una città devastata dai problemi», rifiuti, sporcizia, caos dei parcheggi, traffico. Non ha potuto segnare quella «discontinuità netta» di cui c’era bisogno con la giunta Veltroni, perché, dicono i rutelliani , «come si fa ad attaccare il leader del tuo partito?».
Lui si limita a dire che tutto sarà analizzato. "Chi ha votato Zingaretti e Alemanno?" Va capito.
Il suo staff evidenzia esempi ingiustificati come: alla Garbatella, Zingaretti che prende 100 voti e Rutelli 3, al Prenestino idem e così via, solo a Tormarancia non è successo.
Insomma nel giorno più nero che fotografa la sconfitta di un leader fino ad oggi molto potente nella capitale, un leader che si sfoga con i suoi dicendo «mi hanno lasciato solo», si affaccia un fantasma nelle riflessioni di molti rutelliani dentro il labirintico comitato elettorale al quartiere Ostiense: l’ombra del complotto, del «trappolone», di una faida interna agli ex Ds mirata ad affondare Rutelli per far fuori politicamente Veltroni e Bettini.
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