Alla chiusura della Festa democratica ho sentito un Veltroni diverso; fosse sempre così......
Innanzitutto rimprovera Parisi, che ha «offeso innanzitutto il popolo del Pd» parlando bene di Berlusconi e male di lui. Severi rimbrotti a Di Pietro, che prima ha «sottoscritto il nostro programma e l’impegno a fare un gruppo unico», e poi «ha tradito e stracciato quel patto fatto davanti agli elettori». Proprio lui che «ci dà lezioni di etica». E che ora «cavalca la tigre della giustizia» e indice «manifestazioni per il no», che «evocano l’odio» in concorrenza con quelle del Pd. Ma «noi siamo diversi», e «in piazza ci andremo per dire cosa vogliamo fare per il Paese».
Il suo intervistatore, Enrico Mentana, infila maliziosamente la domanda lasciata in sospeso da D’Alema, che quando gli è stato chiesto perché l’alleanza con Di Pietro aveva rinviato al segretario: «Chiedete a lui». E lui, col sorriso sulle labbra, si vendica: «È stata una scelta che abbiamo condiviso tutti, quella: eravamo tutti d’accordo tranne una persona», lasciando intendere che quell’unico lungimirante oppositore non era comunque D’Alema. Al quale Veltroni riserva un certo gelo: «Ha detto che è pronto a dare una mano, e va benissimo», ma «vorrei che ci fosse più spirito di squadra» da parte di tutti i dirigenti. E poi bisogna guardare avanti e preparare il Pd «di domani, non di ieri», quindi l’obiettivo del leader non è quello di recuperare i D’Alema e i Marini, ma di «far avanzare una nuova generazione di dirigenti».
Ci sono anche veleni postumi per Prodi e per i suoi errori di gestione della «non vittoria» del 2006, perché si sbagliò a «far finta di avere vinto» e a «non avere la saggezza di corresponsabilizzare» il centrodestra nel governo delle istituzioni. E dure critiche al «caravanserraglio» di una coalizione «improponibile» che andava «da Dini a Ferrero», e dentro la quale c’era un partito, Rifondazione comunista, che «mentre stava al governo intratteneva rapporti con i terroristi delle Farc, quelli che avevano rapito Ingrid Betancourt».
Ha quindi invitato la sinistra a superare la propria suicida «sindrome Tafazzi»: «Basta con questo psicodramma infinito, basta fuoco amico: con il 34% abbiamo la più grande forza del riformismo italiano», e il tempo per andare alla riscossa. «Se c’è una cosa che invidio al centrodestra è la sua capacità, quando ha perso le elezioni, di rimboccarsi le maniche e ripartire, senza autodevastarsi come facciamo noi».
Una serena autocritica senza Nutella.
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