Il potere di fare le leggi è del Parlamento (articolo 70 della Costituzione). Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica (art. 73), che, se ha qualche cosa da ridire, può inviare un messaggio alle Camere. Se le Camere riapprovano il testo, egli firma e tace. In caso contrario si tratta di alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90). Anche il governo può legiferare, sebbene in “casi straordinari di necessità e urgenza” (art. 77), se lo fa, però, ha l’obbligo di presentare i decreti alle Camere, il giorno stesso. La ragione è evidente: se il loro contenuto non è condiviso, il Parlamento può immediatamente cancellarli, anche se già entrati in vigore. Lo stesso articolo non fa cenno ad alcun potere specifico del Presidente della Repubblica, anzi, il fatto che i decreti vadano depositati in giornata esclude che il Quirinale possa tenerseli in lettura, per studiarli.
Ebbene, osserviamo la scena che si è svolta fino a ieri, fino alla firma di Giorgio Napolitano in calce al decreto economico, è ditemi cos’ha a che spartire con la Costituzione.
Siamo giunti al punto che il Consiglio dei ministri si riunisce e approva un testo (ammesso che lo abbiano avuto e che lo abbiano letto), che poi cambia nel giro di poche ore, salvo poi inviarlo al Quirinale e far sapere a tutti che dal Colle sono giunte delle osservazioni, successivamente recepite, quindi chiudere il testo, così rimaneggiato, e farlo divenire legge, senza neanche riconvocare il Consiglio dei ministri.
La responsabilità del governo è collegiale (art. 95), vale a dire che ciascuno è responsabile di quel che si decide in Consiglio dei ministri, ma noi abbiamo dei componenti che lamentano d’essere stati “esautorati” e, comunque, il testo discusso, di cui devono rispondere, è certamente diverso dal testo definitivo, negoziato con un soggetto costituzionalmente irresponsabile, il Capo dello Stato.
Tutto questo ha ragioni politiche. Nel nostro sistema costituzionale il governo tende naturalmente ad avere buoni rapporti con la Presidenza. Detto in sintesi: il governo ha i numeri, ma non è coeso ed allora è troppo debole, anche per colpa propria, finendo con il lasciare spazio a poteri impropri.
Ed è evidente che, in assenza di un’opposizione che sappia battersi sui temi concreti, Napolitano esercita un’innaturale supplenza. Ne consegue, però, che a forza d’entrare nel merito dei provvedimenti, nascono movimenti tesi a suggerirgli di “non firmare”, quindi a dare valore politico a un atto che dovrebbe essere pressoché notarile. Del che il governo approfitta (dopo avere subito), perché tende a rispondere alle proteste di piazza obiettando: ha firmato Napolitano. E che significa? E’ la Costituzione a prevederlo.
E siccome tutto questo avviene alla luce del sole, senza che dottrina e coscienza sembrino aver da obiettare, significa che si sta avvicinando il punto di rottura.
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