Nel codice di valori che sta caratterizzando da qualche tempo la sinistra italiana, scopriamo esserci in modo preponderante e quasi prepotente, quello delle dimissioni.
“Mi dimetto, dunque sono bravo, sono un esempio luminoso per i posteri”, questo è l’assunto.
Anche ieri sera, nella fiera dei fenomeni del giovedì, allestita dal mangiafuoco Santoro con il giullare Vauro e l’uomo dalle mille falsità Travaglio, la furbetta Serracchiani (Novella Bindi)ribadiva tutta impettita: “I nostri si dimettono”.
I nostri? Una volta si esultava felicemente: “Arrivano i nostri”, ora qualcosa è cambiato, “i nostri” non arrivano più, se ne vanno.
Vabbè, ma perché dovremmo vedere tanta positività nell’istituto delle dimissioni?
Io mica lo capisco. Marrazzo si è dimesso da presidente della Regione Lazio, dopo che un video lo ritrae in mutande fra trans, droga e soldi. Bravo, Marrazzo, sei un eroe.
Io non dico che sul poverino si debba infierire più di tanto, ma da qui a trasformarlo in Santa Maria Goretti, ce ne corre. O forse costoro credono che le dimissioni dell’ex Presidente abbiano mondato tutti loro da certe magagne di cui ancora si devono capire i contorni?
Speriamo di no, altrimenti la cosa sarebbe comica.
Ma lasciamolo stare il povero Marrazzo, già troppo si parla delle sue vicende.
Vogliamo parlare delle dimissioni di Santoro da parlamentare europeo? O di quelle della Gruber dalla medesima assemblea?
Non c’è da scherzare, alcuni miei colleghi, con il cuore politico saldamente a sinistra come il portafogli hanno radicato a destra, sostengono convintamente che Santoro e la Gruber hanno fatto bene a lasciare la politica, ma non sanno dire perché.
E ci risiamo con la beatificazione delle dimissioni. Ma le dimissioni una volta non erano effetto di un fallimento?
Non erano dovute a un’incapacità di stare e di operare laddove ci si era impegnati a stare, a lavorare, a combattere, se necessario, per portare a casa dei risultati?
Almeno così mi pare di ricordare.
Ma per la sinistra che tutto stravolge, valori e disvalori, menzogne e verità, non è più così: chi si dimette va santificato subito.
Ed è per questo che costoro non possono amare Berlusconi. Quello, con tutte le tegole che gli cadono addosso, di dimissioni proprio non ne vuole sentir parlare. Ed è da qui che si capisce anche una nuova caratteristica che differenzia la destra dalla sinistra. In effetti, si era un po’ omologato tutto e ritrovare qualche differenza fa davvero tutti felici. A sinistra si dimettono, a destra no. Eccola qui la differenza. Secoli e secoli di teorizzazioni politiche, sintetizzate in un “sì o no”, “entro, esco”, “vado, vengo”. Magari.
Se così fosse ci si potrebbe almeno rallegrare per aver trovato una forma di semplificazione, ma così non è. Perché se vai a guardare bene, anche a sinistra, non tutti sono disposti a lasciare la poltrona. Vendola per esempio non s’è dimesso, ha dimesso tutta la giunta, ma lui è rimasto saldo. Bravo Nicolino.
Insieme a Bassolino, Loiero, Jervolino e qualche altro capa tosta. Alla fine però, a parte ogni distinguo, rimane un fatto inoppugnabile: chi ha voluto brandire la spada sacra del moralismo, facendo credere a tutti di avere una superiorità etica rispetto all’avversario, sta cadendo nel fango in mezzo a una marea di scandali.
E non c’è dimissione al mondo che possa ridare faccia ad uno schieramento caduto nel ridicolo e intrappolato nelle accuse che rivolgeva agli altri. Speriamo serva da lezione.
Meno dimissioni e più serietà, signori.
Luciano Paolini
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