- Il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, ha detto, rispondendo all’ennesima dichiarazione di Berlusconi sulle cosiddette “toghe rosse”, che le toghe dei magistrati sono sì rosse, ma per il sangue versato dalla categoria nella lotta per la difesa della legalità.
Leggendo i giornali di questi giorni viene piuttosto in mente che potrebbe essere altro il sangue che arrossa le toghe dei giudici.
Penso al caso dei due rumeni accusati dello stupro di Guidonia e scarcerati, cito da Repubblica, “perché il pm – dopo la chiusura dell’indagine – non ha ancora formalizzato la richiesta di rinvio a giudizio, sia per loro che per gli altri quattro connazionali, accusati della violenza”.
Non so se sia una provocazione chiedersi perché il magistrato incaricato di firmare quell’atto non lo abbia fatto, nonostante abbia avuto tutto il tempo di farlo (da luglio a oggi).
Non so se sia legittimo pensare che sia il sangue delle due giovani vittime dell’aggressione ad arrossare (almeno stamattina) le toghe dei giudici, ma sono certo che almeno le loro coscienze dovrebbero mostrare qualche traccia di rossore.
Eppure, a sentire quanto afferma Luca Palamara, presidente dell’ANM, i giudici sono pronti a tutto pur di impedire una riforma “punitiva per la magistratura”, e ci spiega poi che nella categoria delle riforme punitive rientrano la separazione delle carriere, la riforma del CSM e la revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Quindi, a sentir lui, le cose vanno bene così come sono. La magistratura italiana continuerà ad essere la più costosa d’Europa, con la media di addetti per ufficio più alta d’Europa, i nostri giudici continueranno a essere i più pagati d’Europa, e il sistema giudiziario italiano continuerà ad essere uno dei più inefficienti del mondo.
Le carriere dei magistrati continueranno ad avanzare solo per anzianità, con il risultato paradossale che la maggior parte dei giudici ricopre un ruolo gerarchico (e percepisce di conseguenza uno stipendio) più elevato della mansione che ricopre.
Per diventare magistrati continuerà a essere sufficiente un esame al CSM che vede promossi più del 99 per cento dei candidati, e una tessera dell’ANM. Se un magistrato si renderà responsabile di mancanze, omissioni, errori o illeciti, continuerà a pensarci la sezione disciplinare del CSM a reintegrarlo nel ruolo, al massimo dopo una delicata lavatina di testa.
Le procure continueranno a essere, per lo più, un buco nero in cui le cose non trovano soluzione, gli investimenti stranieri continueranno a tenersi alla larga da un paese in cui ci vogliono più di dieci anni per recuperare un credito commerciale e i prepotenti continueranno a gridarci in faccia “fammi causa, se hai coraggio!”. E un bel pezzo di Italia continuerà a essere di fatto governato dalla criminalità organizzata.
A noi non interessa ciò che dice Palamara a difesa dei pazzeschi privilegi corporativi della casta che rappresenta. Ciò che ci interessa è che la politica ritrovi la dignità e l’autorevolezza per procedere a una riforma che serve ai cittadini italiani, più che al Presidente del Consiglio.
Ci auguriamo che Bersani, che ha appena detto che la riforma della magistratura non è una priorità, sappia trovare le parole per spiegarci perché.
Ma sappiamo anche che sarà difficile ottenere una riforma condivisa se non si riesce a prescindere neanche per un minuto dalle vicende personali di Silvio Berlusconi.
Anche se è paradossale la fulminea rapidità con cui si è aperto e chiuso il processo d’appello sul caso Mills a fronte dell’atavica lentezza della macchina giudiziaria italiana, ed è corretto rimarcarlo, pensiamo che i difetti della nostra giustizia e i privilegi della nostra magistratura siano tali e tanti, che se ne possa parlare per giorni interi senza dovere per forza mettere in primo piano il duello tra Berlusconi e le procure.
Così, mentre la Palamara inc. minaccia lo sciopero (chissà se il giorno in cui i giudici si asterranno dal lavoro qualcuno noterà la novità) forse riusciremmo a essere un po’ più convincenti.
Giordano Masini
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