Pubblico una parte della lettera che Marco Follini ha inviato al Riformista:
Io credo profondamente che tra noi e Di Pietro esistano differenze solide come il granito.
Lui coltiva una politica radicale, manichea. Cavalca la semplificazione. Indulge al populismo. Segue il copione del giustizialismo. Trasforma l’avversario in nemico, e il nemico in demonio.
Dentro questa visione così drastica e cupa della politica, è ovvio che Di Pietro tenda a fare terra bruciata. Se la lotta è tra il bene e il male, se la sua parte veste i panni della virtù e l’altra parte indossa l’armatura dei soldati delle tenebre, non c’è posto per niente che stia nel mezzo.
Non esistono istituzioni, dialogo, compromesso, misura. Tutto è per così dire militarizzato.
Noi, al contrario esistiamo per tentare di accorciare le distanze. Ci sforziamo di interpretare questo Paese nella sua varietà e complessità. Cerchiamo di capirlo, non di schiacciarlo nella tenaglia di un’infinita guerra tra bande. Pensiamo che la politica non sia l’urlo di protesta, ma la capacità di intessere legami, di ascoltare rispettosamente le voci di tanti, di chiamare le persone a costruire una società più coesa, per quanto possibile più unita. Venendo da lontano, sappiamo che ogni conquista è figlia della pazienza.
Ora io credo che quando si mettono insieme idee e forze così diverse non si fa un buon servizio a nessuno. È una legge di natura. La nostra alleanza è stata fin qui un pasticcio tra un’allodola e un cavallo. Se fossimo andati al governo, avremmo “regalato” agli elettori un’insopportabile conflittualità. Del tipo di quelle di cui avevamo appena promesso di liberarli una volta per tutte.
Ai cultori del bipolarismo che impazzano dalle mie parti vorrei segnalare peraltro che nei maggiori Paesi europei - quelli dove l’alternanza funziona da tempo immemorabile - la risoluzione delle alleanze contro natura è una vera e propria regola costituente. In Francia Chirac e poi Sarkozy hanno fatto a meno di Le Pen, in Germania i socialdemocratici hanno preferito collaborare con la Merkel piuttosto che allearsi con la Linke. Così va il mondo, e non vedo perché solo noi dobbiamo essere i figli della gallina bianca.
Ora siamo alla vigilia del congresso, e su questo tema non possiamo più non fare chiarezza. L’ambigua alleanza di questi mesi è stata un po' la nostra coda di paglia. Una parte della nostra dirigenza, sbagliando, s’è illusa che l’Italia dei valori ci portasse in dote il consenso dei girotondi, un rapporto più forte con una parte di piazza e forse, chissà, addirittura l’assoluzione dai nostri peccati.
È tempo, credo, di tagliare quella corda. Non per mancare di rispetto a Di Pietro, ma per avere rispetto, noi e lui, delle differenze che ci separano.
Occorre chiudere un balbettio imbarazzato e imbarazzante e pronunciare parole chiare.
PS. Peccato che nè Franceschini, nè Bersani, nè Marino usano parole chiare
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